lunedì 2 maggio 2011

il mio discorso alla festa del 1° maggio a manduria

Lunedì 2 maggio 2011 



gregorio mariggiò

Quella del 1° Maggio è tradizionalmente una ricorrenza festosa, ma oggi non ci si può nascondere che stiamo vivendo un periodo che non è azzardato definire di emergenza democratica. Mai nella storia del nostro paese si era verificato un attacco così sistematico alle istituzioni democratiche: un attacco portato non con le bombe e le stragi delle B.R. e dei gruppi eversivi dei cosiddetti anni di piombo, ma attraverso una strategia se possibile ancor più pericolosa, perché volta al progressivo svuotamento, alla delegittimazione, delle istituzioni democratiche. Attori di questa strategia sono il Governo e, in prima persona, il Presidente del Consiglio, i quali, complici di un Parlamento di nominati, che non rappresentano più che sé stessi, e una stampa ed una televisione pressoché totalmente asservite, non esitano a porre in essere ogni possibile stratagemma per stravolgere ed annientare quell’equilibrio e quel bilanciamento tra i poteri dello Stato che è il cardine della nostra Costituzione. Ora precisamente questo cardine e cioè il bilanciamento dei poteri e la relativa indipendenza l’uno dall’altro, non è per noi Verdi modificabile, in quanto in esso risiede l’unica garanzia di libertà e di uguaglianza per i cittadini. Assistiamo invece ad un progressivo svuotamento delle funzioni del Parlamento: basti pensare a come il Parlamento si sia trasformato in un semplice notaio estensore della volontà del Governo, grazie ai deputati e senatori della maggioranza, che tutto debbono al Premier, alla cui sorte sono legati a doppio filo e pertanto hanno ogni interesse a mantenerlo al suo posto il più a lungo possibile, per quante sciagurate iniziative legislative egli voglia intraprendere. Assistiamo inoltre ad un vero e proprio attacco all’indipendenza della magistratura, che si manifesta nella volontà di porre il Pubblico ministero sotto il controllo del Governo o di voler abbreviare i termini della prescrizione, cosa che ridurrebbe fortemente il diritto alla giustizia di noi comuni cittadini, ma risolverebbe sicuramente i molti guai giudiziari del suddetto Premier.
Dunque, se un primo significato dobbiamo attribuire a questo nostro stare insieme oggi E’ proprio quello di una difesa ad oltranza della Costituzione, perché in essa risiedono i nostri diritti inalienabili, di cittadini e non di sudditi, che dobbiamo salvaguardare da ogni sorta di deriva populistica. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi e nelle forme stabilite dalla Costituzione: una di queste forme è il referendum, che il Governo, sempre con la complicità della maggioranza parlamentare, sta cercando in ogni modo di boicottare con il trucco indegno di emanare un decreto di rinvio del programma nucleare, nella speranza che la Corte Costituzionale dichiari inutile il referendum. Un trucco che il capo del Governo ha baldanzosamente spiegato, con tutta l’impudenza di cui è capace, perché abituato ad avere di fronte a sé sudditi e non cittadini.
Noi facciamo appello al Capo dello Stato affinché non firmi un provvedimento di questo genere e alla Corte Costituzionale perché mantenga la lucidità e l’imparzialità che le competono, ma se così non fosse la nostra parola d’ordine è: ” il 12 e 13 giugno si vota comunque!” Andiamo in Piazza, davanti ai Municipi, votiamo su dei foglietti qualunque, ma facciamo sentire la nostra volontà e la nostra voce, forte e chiara, contro la costruzione di centrali nucleari, contro la privatizzazione dell’acqua, contro il legittimo impedimento, che di fatto sancisce che non tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
La battaglia contro il nucleare è una battaglia per la democrazia. Si parla giustamente della pericolosità del nucleare, delle conseguenze incalcolabili degli incidenti, non solo quelli grandi, ma anche quelli piccoli che si verificano ogni giorno a nostra insaputa, del costo non quantificabile dell’energia prodotta dall’atomo, del problema irrisolto delle scorie, alcune radioattive per centinaia di migliaia di anni (contrariamente a quanto si vuol far credere, nessun paese al mondo ha individuato un sito definitivo di stoccaggio delle scorie), della scarsa disponibilità di uranio. Ma non si riflette spesso sul fatto che affidarsi al nucleare significa perpetuare il potere pressoché assoluto che le multinazionali dell’energia, operando in regime di monopolio, esercitano su di noi. Puntare sulle grandi centrali, sui megaimpianti, affidarsi, per di più, ad una fonte energetica, destinata a finire tra non molto, significa mettere il nostro futuro nelle mani di gruppi di potere, più forti degli stessi governi nazionali, le cui scelte ricadrebbero su di noi senza la possibilità di far sentire la nostra voce. Puntare sull’eolico, sul fotovoltaico e sulle altre fonti rinnovabili, con impianti di produzione piccoli e diffusi sul territorio, significa porre le basi per una gestione plurale e democratica delle risorse energetiche, che sarebbero commisurate ai bisogni dei cittadini e da essi gestibili e controllabili. Ecco perché battersi per la diffusione delle fonti rinnovabili e chiedere al Governo di ripristinare le misure che le incentivano. Significa non solo battersi per la riduzione di una fonte gravemente inquinante, e responsabile in misura sensibile dell’innalzamento della temperatura del Pianeta, ma anche impegnarsi per una diversa dimensione dell’universo economico, cioè del modo in cui l’uomo risponde ai suoi bisogni. E’ tempo, secondo noi, di una vera e propria riconversione ecologica dell’economia, perché il sistema attuale, basato sul perpetuarsi del ciclo produzione-consumo, non solo ci porta a delle crisi economiche ripetute e sempre più devastanti, ma sta mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa del Pianeta: il divario tra il nord e il sud del mondo è sempre più vasto e il livellamento auspicato si è compiuto solo a danno della classe lavoratrice che, anche nei paesi ad economia avanzata, vedono ridursi ogni giorno i loro DIRITTI, tanto faticosamente conquistati, mentre aumentano i margini di RICATTO da parte di una classe imprenditoriale che ha trovato nel mercato globale una ghiotta opportunità per COLONIZZARE le economie emergenti e manodopera a buon mercato, perché priva di tutele. Ma davvero qualcuno ancora crede che ad  assicurare il futuro benessere dell’umanità basti perpetuare e diffondere i nostri dissennati consumi? E’ stato calcolato da agenzie internazionali legate all’O.N.U. che se tutti gli abitanti della Terra avessero il tenore di vita dei cittadini statunitensi, avremmo bisogno di sei Pianeti. Non è forse arrivato il momento di pensare un nuovo modello economico, che non abbia il suo cardine  nello sviluppo, ma si ponga piuttosto in una dimensione di decrescita, vale a dire adotti un ritmo di consumo delle risorse naturali commisurato alla loro riproducibilità? Secondo noi Verdi una riconversione in senso ecologista dell’economia è non solo possibile e necessaria, ma urgente. Un’economia pensata in termini di RICONVERSIONE ECOLOGICA è in grado di assicurare, oltre naturalmente alla salvaguardia dell’ambiente, benessere e posti di lavoro. Lo dimostra la velocità con cui la Germania è uscita dalla crisi, puntando sull’energia da fonti rinnovabili, sulla bioedilizia, sulla strategia rifiuti-zero, sul trasporto su rotaia, in una parola su quella che viene definita”green economy”. La stessa Germania si pone ora l’obiettivo di chiudere gradualmente tutte le centrali nucleari e di ricavare, entro il 2050, l’ottanta per cento dell’ energia di cui ha bisogno da fonti rinnovabili. E’ appena il caso di sottolineare che il Governo italiano sta imboccando esattamente la strada opposta.
Ecco che, ancora una volta, i temi ambientali si coniugano con quelli del lavoro, dell’occupazione, mai in Italia a livelli così bassi, in particolare per ciò che riguarda i giovani.
Gran parte della strategia del nostro sistema economico passa attraverso il conflitto da esso creato ad arte tra diritto al lavoro e diritto alla salute: volete un salario? Volete conservare il vostro posto di lavoro? Dovete accettare un margine di rischio per la vostra salute e per la vostra stessa vita. Per troppo tempo i Verdi sono stati visti dai lavoratori, di qualunque settore che comportasse un danno ambientale, come dei nemici, un pericolo per il mantenimento del loro salario. Paradossalmente, il lavoratore diveniva, e troppo spesso ancora diviene, complice del  suo padrone nel sorvolare sulle misure di sicurezza, sui mancati controlli, sulle insufficienti misure di mitigazione del danno ambientale, in una sorta di “sindrome di Stoccolma” (la definizione non è mia, ma dell’amico Giovanni Melle) per cui il sequestrato finisce col diventare complice, oltre che succube, del suo sequestratore. Questa sindrome noi Manduriani e abitanti di Taranto e provincia, nonostante vi sia stata, negli ultimi anni, una notevole presa di coscienza, l’abbiamo vissuta e la viviamo ancora nei confronti dell’ILVA. E questo ci riconduce al tema della serata: “vivere e morire all’Ilva di Taranto”. Purtroppo si muore anche fuori dello stabilimento e, pur in assenza di una indagine epidemiologica, da noi Verdi più volte reclamata e mai ottenuta, credo, sia ormai un dato acquisito alla coscienza di tutti, anche grazie all’impegno delle tante associazioni ambientaliste operanti nel territorio, che il proliferare delle malattie tumorali ed altre malattie, tra gli abitanti della città di Taranto e in provincia, abbia un responsabile principale nell’ILVA. La verità, per troppo tempo insabbiata e distorta, viene finalmente alla luce, tanto che il Partito dei Verdi si è fatto promotore di un’azione giudiziaria collettiva nei confronti dei vertici della fabbrica.
Occorre iniziare a pensare ad un dopo-Ilva, posto che la presenza di un simile stabilimento in prossimità della città, per quante misure mitigatrici si vogliano adottare, è incompatibile con il diritto alla salute di tutti. Quando si pensa che la diossina è presente nel latte materno, ogni considerazione di carattere opportunistico, ogni posizione ricattatoria, ogni rinvio deve essere accantonato: siamo in presenza di una situazione insostenibile per i suoi costi, umani e sociali, che deve essere rimossa. Sulla base di queste considerazioni noi Verdi, ci siamo espressi a favore di una riconversione in senso ecologico dell’area industriale di Taranto. Mi spiego meglio, stiamo lavorando su un progetto serio e concreto, con l’aiuto di scienziati ed economisti di riconversione ecologica dell’area industriale di Taranto, tenendo conto di tutti i posti di lavoro e immaginando anche l’incremento di più posti di lavoro.
Il senso del nostro impegno è comunque che diritto al lavoro e diritto alla salute debbano essere da ora in poi le due facce di una stessa medaglia e l’auspicio è che su questi temi si possa trovare un’ampia convergenza, per il bene di tutti noi. Sono i temi e i problemi di questo genere che gli Italiani vorrebbero vedere affrontati e risolti e che giornate, come questa, hanno il compito di richiamare all’attenzione di chi ci governa. Purtroppo costoro hanno ampiamente dimostrato da che parte stanno: lo hanno dimostrato con il decreto del 15 agosto 2010, che consente all’Ilva di inquinare di più in termini temporali. Dunque non resta che mobilitarsi, sempre e dovunque, riappropriarsi dell’iniziativa democratica, assumere su di sé la responsabilità e l’onere di cambiare le cose.
Questo è il significato più importante che possiamo dare a questo nostro incontro.